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Il personaggio del mese

Intervista a Michele Cogo, scrittore, sceneggiatore, autore televisivo, co fondatore e direttore di Bottega Finzioni

“Che bella fiction se a Bologna riapparisse la testa di Giulio II scolpita da Michelangelo”

Una recente indagine ha evidenziato che a oltre 4 milioni di persone sarebbe venuta la voglia di visitare Bologna dopo aver visto le puntate delle serie televisiva dell’ispettore Coliandro. Dunque la fiction si propone come un interessante motore per il marketing territoriale e l’attrazione di turisti? E perché?

Probabilmente è un po’ come diceva Salinger a proposito dei libri e di chi li ha scritti: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere e tutto quel che segue vorresti che l'autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Ecco, secondo me anche con un territorio succede qualcosa del genere. Se vediamo qualcosa di bello dentro a una storia che ci lascia senza fiato, prima o poi vorremmo vederlo quel luogo, fosse anche solamente per cercare di rivivere quelle belle emozioni che la storia ci ha fatto provare.

Quali sono, a suo parere, i criteri utilizzati per scegliere i “luoghi” urbani nei quali fare muovere i protagonisti delle serie fiction?

I luoghi sono indicati in sceneggiatura dagli autori, che ipotizzano alcune location, in parte seguendo la loro immaginazione nel corso della scrittura, in parte usando location che la produzione sa che saranno disponibili. Come sempre nei film è un concorso di fattori artistici produttivi che determina la scelta.

Come tutti i prodotti per l’intrattenimento, anche i format delle serie tv si evolvono. Quali sono dal suo punto di osservazione le nuove frontiere che attendono questo genere così popolare e significativo per l’immaginario sociale?

In tanti dicono che si sta andando sempre di più verso una progettazione di quelli che alcuni studiosi chiamano ecosistemi narrativi, ovvero non più delle singole storie ma degli ambienti all’interno dei quali le storie prendono forma, attraversando i diversi mezzi di comunicazione o d’interazione col fruitore. Questo è certamente vero, tuttavia non sono poi così convinto che questa maggiore progettazione porti a qualcosa di radicalmente nuovo. Sono convinto che opere come L’Orlando furioso, oppure i romanzi d’appendice, contenessero già tutti i meccanismi e le pratiche di scrittura che usano oggi le fiction.

“Se vediamo qualcosa di bello dentro a una storia che ci lascia senza fiato, prima o poi vorremmo vederlo quel luogo”. Anche questo spiega il fenomeno Coliandro attrattivo per Bologna.

Lei ha firmato la sceneggiatura anche di diversi film, quali sono le principali differenze fra i due generi per quanto riguarda il lavoro creativo della scrittura?

Scrivendo un film s’immagina più spesso un pezzo unico, finito. Mentre quando si scrivere una serie tv orizzontale si crea una traccia per la prima stagione, impostando dei personaggi e dei conflitti che possano generare altre storie, ancora non del tutto prevedibili al momento. In sintesi: nello scrivere un film si cerca di catturare l’attenzione dello spettatore a “tempo determinato”, mentre nello scrivere una fiction spesso lo si deve fare a “tempo indeterminato”. E questo sposta molto di più l’attenzione degli autori sulla relazione tra personaggi, in continua evoluzione.

Un’ultima domanda, se avesse carta bianca per inventare una nuova storia ambientata a Bologna su cosa punterebbe?

C’è una scena che da anni non riesco a togliermi dalla testa, e ogni volta che passo da Piazza Maggiore mi viene in mente. È quello che accadde in quella piazza il 30 dicembre del 1511. Una folla di persone aveva legato con delle corde una grande statua in bronzo collocata sulla facciata di San Petronio. Con le corde tirarono fino a che la statua cadde fragorosamente al suolo, frantumandosi in tanti pezzi.
Era una statua dal valore inestimabile. Era l’unica statua in bronzo mai realizzata da Michelangelo Buonarroti solamente quattro anni prima, nel 1508. Era la statua che raffigurava Papa Giulio II, che aveva riconquistato Bologna cacciando i Bentivoglio, restituendo la città al dominio della Chiesa. Ma i Bentivoglio non si erano arresi, e così quattro anni dopo erano rientrati in città e l’avevano riconquistata. Per prima cosa eliminando, con quel gesto pubblico e plateale in Piazza, il simbolo del potere ecclesiastico, la statua, i cui pezzi vennero fusi per ottenere un cannone, soprannominato La Giulia.
Tutti i pezzi, tranne la testa, che si dice sia ancora nascosta da qualche parte in città. Pensate a tutto quello che ci sarebbe da raccontare su questa vicenda: il soggiorno bolognese di Michelangelo, che per fare questa statua abitò qua per più di un anno; lo scontro tra una famiglia come i Bentivoglio e Giulio II, tra Bologna e la Chiesa; tutto quello che accadrebbe oggi se la testa di Giulio II riapparisse. Insomma, le storie non mancherebbero, e Bologna verrebbe certamente mostrata in tutto il suo splendore attuale e storico. Una storia locale ma con personaggi e conflitti universali. Bellissima.

“Opere come L’Orlando furioso, oppure i romanzi d’appendice, contenevano già tutti i meccanismi e le pratiche di scrittura che usano oggi le fiction”.